jueves, 28 de enero de 2010

L'inutilità del poeta di Giorgio Di Costanzo

Colloquio con Gianni Toti


[...]Venerdì 24 aprile, nei locali del Centro culturale del Torrione di Forio... gli ospiti erano Marinka Dallos, Gianni Toti e il prof Peter Sarkozy, docente di letteratura ungherese all'Università di Roma, che ha introdotto la serata con una relazione storico-critica sulla poesia ungherese dalle origini a oggi.
Marinka Dallos e Gianni Toti hanno letto, tra l'altro, testi di Deszo Kosztolany, Attila Joszef, Endre Ady e Miklos Radnoti.
In occasione di questo ennesimo incontro di poesia ho rivolto alcune domande all'amico Gianni Toti.


- Inizio rifacendomi a quanto scrive Stefano Lanuzza in un saggio recente sulla tua poesia: “Gianni Toti, sorta di Jarry italiano che interpreta occasioni esistenziali e storiche, ecologo dell'ideologia avversa all'inquinamento di notizie e ai pestiferi epigoni che tanto ancora adugiano la nostra repubblica letteraria”. Molto brutalmente, ti chiedo: qual'è la funzione del poeta?

Questo tipo di domanda è simile alle domande con cui si organizzano convegni e congressi: qual'è la funzione o il modo dell'intellettuale, del musicista, del filosofo... Questa è una domanda da non porsi o magari essere formulata in modo diverso: non esiste una funzione del poeta. Perché il poeta non è un funzionario, non funge, non adempie, anzi È INUTILE. A questo punto può sembrarti provocatorio, ma se ti dico che il poeta non deve essere utile a nessuno, tutto diventa più chiaro. Non essere utile significa non essere usabile, significa non servire. Se dico che la poesia non serve può sembrare provocatorio, ma se ti dico che la poesia non deve servire a nessuno la cosa è diversa. Se non serve a nessuno allora serve, ma a se stessa. Per questo, dico sempre che la poesia non deve servire neppure la rivoluzione o qualsiasi altra nobile causa. Semmai penso che bisogna fare la rivoluzione perché la rivoluzione serve alla poesia.

Per chiarire meglio questa idea vorrei ricordarti il titolo del mio ultimo libro di poesia, Compoe[to]tibilmente infungibile, che riassume l'idea che la poesia è infungibile, cioé non ha funzioni, che non è compa[to]tibile con se stessa, da cui il neologismo introvabile: incompa[to]bile.


- Una domanda che pongo da anni ai miei amici poeti. Che senso (e utilità) hanno le letture di poesia in pubblico, i festival, dibattiti, tavole rotonde, inchieste, etc?

La risposta a questa seconda domanda è strettamente connessa alla prima. Anche il lettore deve essere infungibile. Il lettore è il poeta di secondo grado e forse dovrebbe essere considerato il poeta di primo grado, essendo il destinatario della poesia, lo scopo della poesia, e quindi ogni operazione culturale dovrebbe essere orientata al massimo rispetto del destinatario. Allo stesso modo in cui il destinatario non deve lasciarsi manipolare dalle strumentalizzazioni delle iniziative.

Ogni lettura, ogni convegno, ogni festival, etc, deve essere diverso da quelli che si tengono oggi. Frettolosi, superficiali, brevi, convulsi. Queste letture sono solo citazioni, riassunti, abbreviazioni e un lavoro ri-creativo di poesia che non dovrebbe essere meno intenso e complesso dello stesso lavoro creativo dell'autore. Le letture che si fanno oggi sono spesso un male minore, servono ad alcuni interessi e fra questi possono essere quelli del singolo poeta per farsi conoscere, ma non servono mai alla poesia. Anzi, nella maggioranza dei casi, servono a dare un'immagine sbagliata alla poesia.

Chi partecipa a queste letture ritiene di essersi avvicinato alla poesia, quando ha ascoltato pochissimi versi o composizioni di qualche autore per cinque minuti (Castelporziano, Piazza di Siena) o un quarto d'ora/mezz'ora nei casi migliori, quando invece è venuto a conoscere soltanto qualche citazione di poesie lette, in genere male, sia dall'autore non abituato alle letture, sia dall'autore col birignao, senza poter distinguere e ricomporre le due facce del segno: il significante ed il significato, cioé l'aspetto sonoro e il referente reale e neppure per poter comprendere il seno della composizione ecc. ecc. e dovremmo forse continuare a lungo...


- Quali sono secondo te le linee di ricerca e sperimentazione poetica più vivaci ed interessanti di quest'ultimo periodo?

La critica più impegnata e responsabile sta cercando di individuare le spinte e i movimenti che si proiettano nel futuro della poesia. In questo senso l'ultimo tentativo compiuto, al di là delle antologie, più o meno settorie, è quello di Renato Barilli: Viaggio al termine della parola*, pubblicato da Feltrinelli. Questo critico individua nel lavoro di alcuni poeti italiani, e tra questi poeti il mio personale lavoro, alcuni elementi che sono stati chiamati anche postmodernisti, che mi sembrano capaci di superare la crisi estrema del senso e del linguaggio della nostra epoca. Tutto è stato già detto e scritto.

Tutte le forme del discorso, tutte le metafore, gli stili sono arrivati alla compiutezza storica e la parola è arrivata al suo estremo limite, il silenzio. Come alternativa abbiamo soltanto l'uso consapevole del già detto e scritto o l'innovazione intraverbale, fondata cioé sull'attacco al sacro nucleo della parola. Questa direzione di lavoro è soltanto una delle possibili vie del futuro della poesia. Personalmente io ritengo che nel passaggio dalla galassia di Gutemberg a quella elettronica si spalanchino per la poesia le strade della tecnologia più avanzata e delle combinazioni artistiche, delle più diverse sensibilità mediante l'uso multiplo delle protesi sensoriali. In altre parole, credo nelle possibilità di realizzare, come io stesso ho già fatto in alcune sperimentazioni elettroniche per la Rai, quella che chiamano la poetronica, ovvero la poesia elettronica.

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