lunes, 2 de abril de 2012
Gianni TOTI o della poetronica (Video presentación)
Gianni TOTI o della poetronica, a cura di Sandra Lischi e Silvia Moretti, Edizioni ETS
INFO: http://www.edizioniets.com/Scheda.asp?N=9788846730107
Il libro ripercorre l'itinerario artistico di Gianni Toti, protagonista della videoarte internazionale, scrittore, giornalista, poeta, partigiano, cineasta, inventore di linguaggi e di interferenze feconde fra pagina e schermo, impegno sociale e avanguardia, lucidità visionaria e irriverente capovolgimento di senso e di sensi.
Prima monografia italiana su questo artista (Roma, 1924-2007), il volume raccoglie, accanto a testi di vari autori sull'impegno letterario, politico, editoriale, di questo grande viaggiatore "coSmunista" delle arti, anche poesie e scritti dello stesso Toti, testimonianze, documenti inediti. I neologismi, i disegni, le sceneggiature illustrate, fotografie preziose con i compagni di viaggio, da Pasolini e Zavattini a Marguerite Duras a Di Vittorio a Berlinguer. Toti ha intrecciato il proprio percorso con Neruda e Cortázar, Che Guevara e Alain Robbe-Grillet e tante altre figure del Novecento, fino a scoprire e a usare con fresca e profonda inventività le tecnologie elettroniche e il digitale: la poetronica appunto, poesia elettronica, secondo un'espressione coniata da Toti stesso.
Il libro è anche la storia di una stagione culturale italiana nei suoi rapporti col contesto internazionale e illumina vari aspetti di una discussione complessa e fertile sui linguaggi e sull'impegno dell'intellettuale: la ricognizione di un' intensa vicenda artistica e umana attraversa una varietà di scritture, movimentata e creativa anche dal punto di vista editoriale e grafico.
CON SCRITTI DI: Gianni Toti, Anna Barenghi, Michel Chion, Marco Maria Gazzano, Ando Gilardi, Sandra Lischi, Mario Lunetta, Marc Mercier, Silvia Moretti, Italo Moscati, Rossella Rega, Tarcisio Tarquini, Giuseppe Zagarrio.
viernes, 17 de febrero de 2012
Gianni Toti o della poetronica - Lischi & Moretti (2012)

Il libro ripercorre l'itinerario artistico di Gianni Toti, protagonista della videoarte internazionale, scrittore, giornalista, poeta, partigiano, cineasta, inventore di linguaggi e di interferenze feconde fra pagina e schermo, impegno sociale e avanguardia, lucidità visionaria e irriverente capovolgimento di senso e di sensi.
Prima monografia italiana su questo artista (Roma, 1924-2007), il volume raccoglie, accanto a testi di vari autori sull'impegno letterario, politico, editoriale, di questo grande viaggiatore "coSmunista" delle arti, anche poesie e scritti dello stesso Toti, testimonianze, documenti inediti. I neologismi, i disegni, le sceneggiature illustrate, fotografie preziose con i compagni di viaggio, da Pasolini e Zavattini a Marguerite Duras a Di Vittorio a Berlinguer. Toti ha intrecciato il proprio percorso con Neruda e Cortázar, Che Guevara e Alain Robbe-Grillet e tante altre figure del Novecento, fino a scoprire e a usare con fresca e profonda inventività le tecnologie elettroniche e il digitale: la poetronica appunto, poesia elettronica, secondo un'espressione coniata da Toti stesso.
Il libro è anche la storia di una stagione culturale italiana nei suoi rapporti col contesto internazionale e illumina vari aspetti di una discussione complessa e fertile sui linguaggi e sull'impegno dell'intellettuale: la ricognizione di un' intensa vicenda artistica e umana attraversa una varietà di scritture, movimentata e creativa anche dal punto di vista editoriale e grafico.
Collana: Obliqui (13)
Pagine: 224
Prezzo: € 24,00
Anno: 2012
ISBN: 9788846730107
Formato: cm.19x24
martes, 1 de noviembre de 2011
NUEVO NUMERO DE LA REVISTA SANS SOLEIL (ESPECIAL GIANNI TOTI)

La Revista Sans Soleil acaba de editar su 3º numero con un especial dedicado al polifacético creador romano Gianni Toti.
Esta publicación supone la más completa retrospectiva sobre su figura y obra realizada hasta la fecha en lengua castellana. En su interior encontramos algunos de los ensayos más relevantes sobre Gianni Toti, realizados por los más destacados investigadores de su obra. El especial se articulo en base a 3 etapas vitales y creativas: el periodismo, la literatura y el audiovisual.
Se incluyen igualmente varios textos originales de Gianni Toti traducidos al castellano, una entrevista con la presidenta de la Casa Totiana de Roma (la viuda de Toti, Pia Abelli) y multitud de fotografías, escritos, diseños y algún relato-poema inedito hasta la fecha.
ESTOS SON LOS CONTENIDOS DEL DOSSIER ESPECIAL:
-Presentación del Especial, por Ander Gondra Aguirre, 8.
-(Auto) Biografía de Gianni Toti, por Silvia Moretti, 10.
-Entrevista con Pia Abelli Toti, 16.
-Gianni Toti, el artista que toma la palabra, por Sandra Lischi, 24.
-Las habitaciones abarrotadas de Gianni Toti, por Silvia Moretti, 27.
-Toti periodista (descargar apartado completo)
-Introducción, 32.
-La falange decomposta, por Gianni Toti (1963), 35.
-De turismo no se muere, por Gianni Toti (1963), 42.
-Toti Literario (descargar apartado completo)
-Introducción, 51.
-Poemas inéditos de Gianni Toti, 54.
-Relatos & Poemas de Gianni Toti, 56.
-Bibliografía poético-literaria de Gianni Toti, 66.
-Toti Visual (descargar apartado completo)
-Introducción, 72.
-La obra y el sentido, por Gianni Toti (1968), 74.
-Tecnologie di domani per nuovi linguaggi, por Gianni Toti (1991), 88.
-Por la variabilidad de pantalla y la paridad de visión, por Gianni Toti (1997), 93.
-El tiempo del sentido, por Marco Maria Gazzano (1997), 96.
-…Poetronica, por Sandra Lischi (2001), 108.
-Gianni Toti e le diSper(iment)azioni Rai, entrevista de Anna Barenghi, 112.
-Filmografía comentada, 116.
CONSULTAR Y DESCARGAR EL ESPECIAL DE GIANNI TOTI
DOWNLOAD THE SPECIAL DOSSIER DEVOTED TO GIANNI TOTI
martes, 21 de junio de 2011

EL 24 DE JUNIO, DIA DE SU NACIMIENTO, LA CASA TOTIANA VIENE EDITANDO ANUALMENTE UNA REVISTA ENTERAMENTE DEDICADA A LA FIGURA DEL VIDEOARTISTA ITALIANO.
Anche quest'anno per il 24 giugno, giorno della sua nascita, pubblichiamo il numero della rivista online dedicato a Gianni Toti, alla Giornata Totiana. Grazie a TOTI voi!
Podeis descargar la revista en formato pdf (cerca de 20MB) en el siguiente link:
Potete scaricare la rivista in formato pdf (circa 20 MB) al seguente link:
lunes, 25 de octubre de 2010
sábado, 13 de febrero de 2010
Fra cinema e poetronica (e oltre): le scritture di Gianni Toti - Sandra Lischi
(marzo 2007) Jean-Paul Fargier esordisce con la rievocazione
di una sequenza di SQUEEZANGEZAÙM (1988): la prua
virtuale della corazzata Potemkin che squarcia lo schermo
bianco, come a dirigersi verso gli spettatori. Alla RAI di
Torino, aiutato dai suoi “montautori” e dai suoi “chimeramen”,
Toti aveva sperimentato le strumentazioni per gli
effetti elettronici e realizzato in video l’idea di Ejzenstein,
che avrebbe voluto, alla fine del suo film, una lacerazione
reale dello schermo da parte dell’immagine della prua che
avanza. LA CUIRASSÉ POÈTEMKINE, così Toti aveva rinominato
il film in quel suo videopoema che è un omaggio alle
utopie artistiche e politiche del Novecento, al linguaggio
transmentale di Chlébnikov, alla poesia di Majakovskij.
Frammenti di film si susseguono, intrecciandosi alle
musiche: Toti li rielaborava proprio come faceva con le
parole, per creare significati (“sognificati”, diceva) nuovi,
nuove associazioni di memoria e di immaginazione.
«Faceva cose nuove con le vecchie – scrive ancora Fargier.
Con associazioni forsennate, innesti, sovrapposizioni
di strati, intreccio di frammenti». Del resto, «nei suoi
testi brulicano parole-valigia lanciate in italiano, in francese,
in spagnolo, in russo, in inglese, con la sua voce di
poliglotta post-joyciano ispirato dal trans-linguismo,
arrotolando le sillabe come un declamatore sulle scene,
staccandole l’una dall’altra per far meglio gustare l’origine
di ognuna, spesso prelevandole da lingue diverse. Il suo modello era lo “zaùm” di Chlébnikov: la marmitta futurista, il melting-pot di tutti i linguaggi fusi per creare un parlare inaudito, il solo degno di esprimere la novità
dei tempi rivoluzionari». Quella del cinema è una
traccia che percorre tutta la riflessione e la creazione artistica
di Toti. A partire dalla battaglia per il grande cinema
di poesia, nel dibattito culturale del dopoguerra. «Io
e alcuni altri – una minoranza, effettivamente – eravamo
contrari a tutta l’esaltazione, la retorica neorealista nel
cinema e negli altri campi... Noi, proprio con un rifiuto e
un’uscita di campo, facevamo altre cose... Il cinema celebrato
in tutto il mondo per noi era retrivo nei confronti
del grande cinema di poesia... per quel cinema verista,
naturalista, gli Ejzenstein non esistevano...», mi aveva
detto in una conversazione (Roma, 1995).
Amico di Zavattini – con cui aveva collaborato per i CINEGIORNALI
LIBERI, non cessava di polemizzare con un cinema
inteso come “macchina da prosa” (così diceva), incapace di
articolare, elaborare, trasformare poeticamente la realtà in
linguaggio “altro” o, peggio ancora, piegato a esigenze di
propaganda politica, tentato dall’infausto richiamo del
“messaggio”. È illuminante rileggere oggi i suoi contributi
per la rivista «Cinema & Film», come quello su Ejzenstein
e Vertov (1967) in cui si dialoga con le problematiche
della cine-verità e del cine-occhio. Vi si intravedono, tra le
righe, affermazioni simili a quelle che Toti farà poi, negli
anni Ottanta e Novanta, sul presunto super-occhio elettronico.
«Non basta essere “maestri della vista” – scriveva nel
1967 –, bisogna creare le cose da vedere e che non ci sono
nella verità visuale dell’occhio umano e dell’occhio cinematografico
se non interviene l’autore mitopoietico a farti
conoscere ciò che lui ha costruito per dirti la vita guardata
con gli strumenti più perfezionati, agili e intelligentemente
e persino artisticamente manovrati». A Dziga Vertov
aveva dedicato, nel 1994, PLANETOPOLIS: a lui, la “trottola
volteggiante”, citato in immagini con frammenti de L’UOMO
CON LA MACCHINA DA PRESA; il progetto stesso di questa
gigantesca “video-poem-opera” aveva preso le mosse da
un Simposio sul cineasta, a Mosca, nel 1992. E SQUEEZANGEZAÙM
è un’opera video intessuta di omaggi al cinema:
quello classico (John Ford), quello d’animazione, quello
delle avanguardie storiche. Atto d’amore nei confronti di
un secolo di rappresentazioni e utopie schemiche, quelle
che ci hanno reso tutti “spettratori”, spettatori di ombre, di
spettri, di sogni. Un cinema che si trasforma, proprio nel
senso dello “zaùm”, del linguaggio transmentale di Velimir
Chlébnikov. Torna indietro, si ripete, gioca con se stesso,
si avvita su altre immagini, percorre altre forme, ricrea
didascalie e titoli, come accadrà poi in tutta la produzione
“poetronica” di Toti. Ricordo, durante la post-produzione
di PLANETOPOLIS, il trattamento di immagini di OTTOBRE di
Ejzenstein, con la folla mandata all’indietro, le bandiere
colorate in rosso sul bianco e nero; le sequenze di Pelescian,
di Medvedkin, di Vertov, di Ruttmann ma anche di
documentari scientifici; di Lang, Pennebaker, Marker...
Del resto, forse la sua opera video più toccante, quella che
ha conquistato alle arti elettroniche vari autori e vari critici
(come si è detto recentemente al festival di Clermont-
Ferrand, durante un omaggio a Toti) è INCATENATA ALLA
PELLICOLA del 1982 (una delle parti della TRILOGIA MAJAKOVSKIANA
per la Sperimentazione RAI). Quel frammento di pellicola, di due minuti, salvato dalla distruzione e donato a Toti dall’amica Lilj Brik, compagna per tanti anni
di Majakovskij, veniva dal film di Nikandr Turkin del
1919: vi recitavano i due,mettendo in scena la storia di una
ballerina che esce dallo schermo per amore del giovane
“reale”. Grazie all’intuizione delle possibilità di metamorfosi
e dilatazione temporale e delle alterazioni spaziali e
cromatiche del video, grazie alle parole recitate, alle citazioni
poetiche, all’ingrandimento di dettagli e gesti, a ripetizioni,
incantamenti, malinconie storiche (“malincosmie”,
come diceva Toti), il frammento (ri)diventa opera compiuta,
interpreta nell’arco di un’ora le speranze e le delusioni
di un’intera generazione di appassionati rivoluzionari della
parola e dell’arte, porta alla luce e a nuova vita una
scheggia di memoria altrimenti destinata alla scomparsa.
In modo poetico, evocativo, talora enigmatico, queste
opere sono anche un percorso di riflessione politica,
offrono materia di dubbio e pensiero sull’ascesa e il declino
(o il provvisorio silenzio) del comunismo, che Toti
aveva rinominato “coSmunismo” per sottolinearne la
vocazione planetaria, a venire, al di là di questa o quella
frettolosa e malintesa applicazione.
Il cinema Gianni Toti non lo aveva solo amato, commentato,
studiato, utilizzato nei video. A un certo punto lo
aveva anche fatto, sia come attore (per Faccini, gli
Straub, Gutierrez Alea e altri), sia come soggettista e sceneggiatore
di molti testi che sono rimasti allo stadio di
progetto, sia con due film realizzati: E DI SHAÙL E DEI
SICARI SULLE VIE DA DAMASCO (1973) e ALICE NEL PAESE DELLE
CARTAVIGLIE (1980, operazione cui sono correlati anche
un libro e un 45 giri musicale).
È interessante rileggere oggi i dibattiti (soprattutto su
SHAÙL, montato da Roberto Perpignani e interpretato da
GeorgeWilson) su riviste di quel periodo, da «Cineforum»
alla «Rivista del Cinematografo» a «Cinema Nuovo» e a
«Cinemasessanta». Si tratta di un film che capovolge l’idea
di “cinema storico” e che si costruisce con salti temporali,
provocazioni (i titoli di testa a metà del film), effetti, come
a chiamare il video, più versatile e malleabile della pellicola,
più disposto per la sua natura vibratile e puntiforme
alle “piegature” del linguaggio. «Penso ai film (dice Toti in
uno di questi articoli) come a “libri di immagini sonore e
visive”, che possono quindi aver bisogno di prefazioni, di
post-fazioni, di interventi sulla tessitura, indicazioni utili
al lettore-spettatore perché si fabbrichi da solo le sue “chiavi
di lettura” o di “slettura”, o di “illettura”...».
Scrittore di tutte le scritture, Toti ci fa capire qui come nel
suo itinerario creativo non si tratti di “passare” da un mezzo
a un altro, da una scrittura a un’altra (magari più evoluta
tecnicamente). La pagina – letteralmente e metaforicamente
– è una sola, foglio bianco e chiarore dello schermo,
superficie di proiezione cinematografica e quadro del
monitor. Negli anni Ottanta Gianni Toti diventa unmaestro
della sperimentazione in elettronica, internazionalmente
conosciuto, premiato, celebrato (più all’estero che in Italia,
va detto) fra i pionieri più radicali e più colti del panorama
video. Torna nella “poetronica” la sovversione dei linguaggi,
torna il cinema (medium ormai “completamente nato”
secondo Toti) come modulo del discorso in video, ma
nascono anche figure mai viste prima, avventure di forme,
impaginazioni e creazioni – anche in digitale – di
straordinario impatto sensoriale, intellettuale ed emotivo.
Se leggiamo le analisi critiche del suo lavoro letterario e poetico (come quelle, acutissime, di Giuseppe Zagarrio) riconosciamo le “figure retoriche” totiane, le sue invenzioni, i suoi capovolgimenti di linguaggio, le sue decostruzioni,
anche nelle immagini video: così come il suo respiro
planetario e cosmico, la sua “ironia antroposociologica”, il
suo sguardo sul futuro possibile e “poesibile”. Come ha
ben dimostrato una giovanissima studiosa, Silvia Moretti
(quanti giovani intorno all’opera di Gianni Toti, quanta
attenzione e passione riscuote il suo lavoro negli studenti
che vi si accostano o che l’hanno conosciuto di persona), si
tratta di uno schermo-video-pagina da percorrere con la
scrittura, sfogliare, attraversare, «in una continuità di reciproco
nutrimento tra l’arte scrittoria e visiva». Del resto, i
suoi video-poemi sono affollati di lettere e parole danzanti
e vive, animate (futuristicamente), divenute immagini o
contenitori di immagini; il cinema stesso, prelevato per
“frasi”, diventa un elemento del discorso: commuove un
piccolo Gramsci infagottato, filmato a Mosca (in GRAMSCIATEGUI),
commuove la ballerina Lilj che ha nostalgia della
tela bianca dello schermo, i soldati a cavallo che tornano
indietro, le masse avanzanti che non avanzano più... Pagina,
cinema, video? Parola, scrittura, musica?
Forse la lezione più alta di Gianni Toti, inscindibile dal
rigore e dalla freschezza che assumeva in lui l’esame puntuale
delle varie arti che ha attraversato (e di cui è stato
anche un teorico, formulando concetti e coniando terminologie),
sta proprio in questa poetica e in questa pratica
artistica della compresenza e dell’assunzione “totale” dei
linguaggi. Che fa del resto tutt’uno con la feconda, appassionata
convivenza – nella sua arte e nella sua esperienza
di vita – di tante lingue vive e “morte”, di tanti capolavori
letterari di tutti i tempi, di tante e diverse suggestioni
musicali, conoscenze teatrali, filmiche, scientifiche, filosofiche.
Ma anche di tanti paesi attraversati, persone note e
ignote, incontrate e mai dimenticate, avventure straordinarie,
straordinarie battaglie: umane, poetiche, politiche,
intellettuali. Il partigiano Vania, il militante del “proletariato”,
volentieri cantava quei versi del musicista e poeta
argentino Atuahalpa Yupanqui, cantore degli Indios e dei
dannati della terra, che aveva inserito anche in PLANETOPOLIS:
“prima esser uomo, poi poeta”.
Anche in questa direzione andrà riletta e ripensata e
“riscritta” la sua opera. E ri-vissuta. In modi diversi e nuovi
ma sempre producendo e ragionando e scrivendo e filmando
e inventando e creando senza mai arrendersi al
facile, all’ovvio, al noto. E ancora scrivendo e creando e
ragionando e filmando e producendo e…
jueves, 28 de enero de 2010
Gramsci cammina ancora? - Sandra Lischi
Tutto questo lo sappiamo? Certo. Ce lo hanno raccontato genitori democratici o insegnanti di buona volontà, e anche qualche film, ormai. Ma cosa cambia, se gli olocausti continuano in tutto il mondo, cinici e sanguinosi? Cosa cambia, se con disinvoltura riusciamo a pronunciare l’impronunciabile espressione guerra umanitaria? Cosa cambia, se poi noi colonizzatori ci lasciamo colonizzare tutti, quanto e più di prima, dai colonizzatori di allora, che ci abbagliano con le loro perline colorate e i loro specchietti (uno fra tutti quello della fine delle ideologie, la più forte e illusoria delle ideologie del nostro tempo?).
Da molti anni Gianni Toti esplora, poeticamente e filosoficamente, il nostro tempo. Forse unico, fra gli autori video internazionali, a creare un discorso sul mondo fatto di immagini potentemente articolate, fino ai limiti estremi delle possibilità dei linguaggi elettronici (e, quindi, fino ai limiti estremi del noto, del già pensato, dell’ovvio, inteso sia come luogo comune dominante che come luogo comune confortevolmente - confortevilmente, direbbe Toti!- alternativo). Non documentari, quindi; non opere classicamente narrative; non saggi sociologici, didascalici, dimostrativi. Ma pensieri formati da e per immagini e suoni, costruzioni da guardare - capire - rielaborare (lavorare) per leggere in modo diverso, necessariamente diverso, il mondo.
Nei VideoPoemi degli anni Ottanta erano state le utopie del secolo gli oggetti d’amore e di interrogazione: Majakovskji e Lilj Brik, Velimir Chlàbnikov, Dziga Vertov, Ejsenstein.... La poesia e il cinema come arti di pensiero nuovo, come sguardo complesso sul presente, come rielaborazione delle gigantesche opere del passato, e come nuovo sogno dell’opera d’arte totale: letteratura, musica, teatro e danza, cinema “riletti” e fusi e ricreati nei nuovi linguaggi del video. Poi , dopo i fatti del 1989, la riflessione su un pianeta avviato a una cementificazione urbana e di pensiero: un pianeta tutto uguale, schiacciato sotto il tallone di ferro del mercato, percorso da miliardi di uomini, donne e bambini ridotti a zero (Planetopolis, 1993), in un tempo mangiato e ossessivo, in cui la dolcezza del vivere è affidata a vecchie, struggenti musiche, a brandelli di memoria, a ricordi e barlumi di riscatto. Gran parte di Planetopolis è stata girata in America Latina: si vedono, in metamorfosi di forme e colori, le orribili discariche abitate da spettri in cerca di sopravvivenza; i bambini di strada con le loro sinfonie di vecchi barattoli; i mendicanti; i cartelloni che pubblicizzano le palestre, la CocaCola, oppure Dio, in un delirio indifferenziato di fedi sacre e profane, di chiese e di centri commerciali. Giubileo docet...
Là comincia (anzi prosegue: Gianni Toti ha vissuto a lungo, nella sua lunga vita, in America Centrale e America Latina) un nuovo viaggio, reale e per immagini, nella nuestra America, come si diceva una volta. E Toti (che ha conosciuto Fidel Castro e stretto amicizia con Che Guevara e Salvador Allende) vede ora ingigantirsi l’orrore delle metropoli peruviane e colombiane e brasiliane, ripercorre la storia che ha dato origine a quegli orrori, ripensa la sconfitta degli ideali e delle pratiche che, a un certo punto, sembravano indicare un riscatto per l’intero continente. E lo fa da poeta, anzi da “poetronico” ; e da profondo conoscitore della storia e delle storie latinoamericane, dell’arte, della cultura, del mito.
L’idea, sostenuta produttivamente dal CICV (Centre de Recherche Pierre Schaeffer, Montbliard-Belfort, Francia) è quella di una trilogia, a partire dall’America Latina (dalla Conquista alla Deconquista a venire), sullo sterminio planetario di interi popoli nella cosiddetta era moderna -ancora preistorica, però- . E sulle idee, i sogni non più sognabili, le vitali disperazioni, i pessimismi di un pensiero che deve ri-formarsi, ri-vedere il passato, ricreare le immagini del presente in modo nuovo, aperto alla complessità, al bisogno di verità non retoriche, o forse a quella “semplicit? che è difficile a farsi” con cui Bertolt Brecht designava un comunismo (cosmunismo, come lo chiama Toti) immaginato, mai morto perché mai nato.
Tupac Amauta, quindi, primo canto della trilogia: ispirato a Tupac Amaru, re inca trucidato nel 1572 dai conquistadores; e a Tupac Amaru II, che (scrive Toti) “nove anni prima della Rivoluzione Francese avventò i suoi indios quechua contro ‘la Conquista’ che continuava ( e tuttora continua), aprendo il passo alla Indipendenza subcontinentale e alla prospettiva della Deconquista...” Grande affresco in movimento, Tupac Amauta ricrea - anche grazie alla postproduzione digitale visionaria, orchestrata con il montautore Patrick Zanoli- gli atroci sistemi di supplizio cui intere popolazioni furono sottoposte dai colonizzatori e la figura mitica di Tupac Amauta, divenuta simbolo di resistenza e riscatto: fino a Josè Carlos Mariategui ( leader politico peruviano, morto nel 1930, uno dei più lucidi pensatori dell’America Latina), fino alle immagini del Subcomandante Marcos, fino ai nomi dei militanti uccisi - proprio mentre il video veniva concluso- nell’ambasciata giapponese a Lima.
E con le armonie antiche e potenti dei Chimuchines, archeomusicologi di Santiago del Cile; e con i poemi e le poesie e le canzoni di secoli, anni, giorni, minuti, respiri di rivolta. Le immagini e i suoni incalzano, si sovrappongono, ruotano, svelano i propri dispositivi di linguaggio, accostano come in impreviste assonanze ( o dissonanze, o metafore) le antiche simbologie incas, le incisioni, spezzoni di film, teatri della memoria, astrazioni assolute - che sono, allo stesso tempo, le astrazioni necessarie del pensiero e quelle create dalle odierne macchine per elaborare immagini. Simili alle onde sonore, simili alle rappresentazioni scientifiche. Simili ai primi, ma allora artigianali, tentativi dei pittori-cineasti degli inizi del Novecento.
“Primo canto” della trilogia: così è indicato Tupac Amauta. Ma a distanza di un anno, nel 1999, il secondo canto si trasforma in “secondo grido”. Il canto, la canzone, la parola musicata e musicante lasciano il posto a un urlo, spariscono a favore dell’asserzione, fin dal titolo, di un’angoscia. Gramsciategui ou les poesimistes-Secondo grido. Toti vi lavora, sempre con Patrick Zanoli (ma non dimentichiamo Marie-Laure Florin, e la preziosa collaborazione di Elisa Zurlo alle due opere) e sempre al CICV, quando l’Europa, quella dalle “magnifiche sorti e progressive”, si è lanciata nella vergognosa impresa della cosiddetta guerra umanitaria in Kosovo, scaricando bombe intelligenti su popolazioni inermi e prestandosi coscientemente a un piano di politica internazionale in cui gli USA si proclamano padroni dell’ordine mondiale. Con un’arroganza cui accondiscendono scodinzolando i governanti del nostro continente, in barba alle Costituzioni nazionali e alle appartenenze ideali (questioni da robivecchi....). La conquista continua, così come i genocidi, gli olocausti, lo sterminio - Africa, ex Jugoslavia, Cecenia...ma anche il mare Adriatico coi suoi carichi di carne da macellare o da affondare, i vergognosi lager per immigrati, lo stretto di Dover con i suoi container che diventano camere della morte...- e la guerra col suo colore livido entra nel secondo canto della trilogia, lo trasforma in grido, “grido crudele e disperato”.
Gramsciategui - il titolo mescola nel nome congiunto “il pessimismo eroico” di due teorici rivoluzionari del nostro secolo e con forti affinit?, Antonio Gramsci e Josè Carlos Mariategui (nel video “dialogano” in due spezzoni cinematografici accostati)- abbandona gli affreschi in movimento, le dolci musiche, le canzoni di lotta, e fa il vuoto: il vuoto dell’urlo silenzioso e spaventoso di Munch, di un grido inascoltato. Il vuoto: la vacuità degli sforzi degli “uomini di buona volontà”, la patetica inerzia di qualunque discorso “progressista”. C’è, sì, la dolce canzone che evoca il tempo delle ciliegie, Le temps des cerises, canzone d’amore e di primavera che divenne l’inno della Comune di Parigi: ma ? deformata, resa lontana e irraggiungibile... E c’è, ancora, l’ evocazione di un’ utopia possibile e odierna, quella dei minatori di Tower nel Galles che, a dispetto della (falsa) scienza degli economisti stanno autogestendo con profitto la propria miniera data per morta (Jean-Michel Carré ha recentemente realizzato un video su questa esperienza, Charbon ardents, in cui si narra anche della prima bandiera rossa della storia del movimento operaio, ottenuta bagnando un drappo bianco nel sangue di un vitello, dopo un eccidio di minatori. Oggi sulla bandiera rossa di Tower sta scritto “Knowledge is power”). Isole cui però -sembra dire Toti- non c’è da approdare, ne’ da aggrapparsi. Il vuoto, l’urlo silenzioso, le immagini astratte, le invenzioni acusmatiche di Monique Jean e Luigi Ceccarelli, sono lo spazio di un pensiero radicalmente pessimista, che ha perduto la speranza (“è solo a favore dei disperati che ci è data la speranza”, scriveva Ernest Marcuse negli anni Sessanta. “E’ solo a favore dei disperati che abbiamo il dovere della disperazione”, sembra dirci Toti in Gramsciategui , alle soglie del Duemila).
Nessun conforto, nessun alibi per la coscienza di tutti noi, affondatori di fratelli che cercano asilo, bombardatori di umanit? senza colpa, giocatori spregiudicati in borsa, navigatori sulle onde della new economy come i nostri antenati lo furono sulle rotte delle Indie: anzi, forse peggio.
Lo spazio di questo pensiero è da costruire. E Toti, sempre così pronto a riempire lo schermo, a saturarlo di suoni, immagini, parole, musiche, film, danze, teatri, pitture, disegni, qui si affida alle volute rarefatte dell’immagine digitale intessuta sapientemente nell’arco di mesi, giorno dopo giorno, per fare spazio e per costruire la necessità di un silenzio che non può più essere abitato dal conforto di facili (o difficili) speranze. Poesimismo, la parola coniata da Toti per indicare nel titolo i due pensatori, unisce del resto in un unico termine la poesia (poiesis, che ha come radice greca il fare) e il pessimismo, che sembra designare la negazione del fare, o comunque una visione negativa. Parola anche ossimora dunque, che indica forse la necessità di un fare lucido e disperato, o di una negazione produttiva. E di una poesia mai riconciliata, mai consolatoria, mai serva del cinismo dei “buoni sentimenti”. Del resto, il terzo canto o grido della trilogia, che avrebbe dovuto occuparsi del mito inca del Pachacuti, la riscossa e la deconquista (“l’anticatastrofe liberatoria”, scrive Toti), si è trasformato, nell’annuncio contenuto nei titoli di coda di Gramsciategui, ne “Il tronfio trionfo della morte”...La speranza di riscossa rovesciata nel suo opposto, la certezza della disfatta. O forse no?
Ma ecco Gramsci, proprio lui, il poesimista morto di galera fascista, autore della celebre formula “pessimismo della ragione, ottimismo della volontà”: eccolo nello spezzone di un vecchio film girato a Mosca nel 1921. Toti ne scontorna la figurina già piccola e scura, infagottata in un cappotto troppo grande. Lo isola, lo fa procedere nel vuoto, ne ripete i passi, rende insistente, tenace, attuale il suo incedere nello spazio deserto. Poi il video torna all’indietro, lo rileggiamo rapidamente a ritroso, come in una sintesi capovolta e quindi con senso e con sensi diversi.
E lui, Gramsci, quando il video finisce è ancora lì, ostinato, e cammina ancora.
jueves, 10 de septiembre de 2009

La siguiente cita es en otoño, en Sao Paolo, para el festival VideoBrasil, donde Toti presenta sus trabajos y yo tengo un seminario. A la pequeña tele cámara que habíamos llevado a Moscú se suma ahora otra más; la que le ha apenas regalado su mujer, la pintora Marinka Dallos. De frente a una ciudad tan inmensa el VertoViaje se extravía, comienza a convertirse en el posible retrato de una ciudad planetaria que corre el riesgo de volverse toda igual. También aquí filmamos la miseria, la absurdidad de los contrastes entre pobreza y riqueza, las insignias, las salas de juegos, las periferias siempre idénticas. Y nos trasladamos a filmar también en Rio. Son grabaciones amateurs, inestables, realizadas tan solo con la experiencia de la improvisación cotidiana, siguiendo una intuición, una curiosidad o un estupor, haciéndonos guiar por amigos o vagando por las calles.
Pero está tomando cuerpo este proyecto cuasi catalogador, al menos inicialmente, de las pesadillas metropolitanas, del fracaso de las utopías arquitectónicas (y no solo). En Buenos Aires, a donde nos conducen otros compromisos de trabajo, encontramos por casualidad en una librería un texto que nos golpea y que parece hecho apropósito para el proyecto que está naciendo; en un libro titulado Memoria sobre la Pampa y los Gauchos, Adolfo Bioy Casares escribe de “Un futuro bastante próximo en que desde la Tierra de Fuego hasta Alaska se prolongara una sola ciudad ininterrumpida”.
En el festival de San Paolo esta también Pierre Bongiovanni, director del Centro internacional de creación video en Francia. El centro, nacido recientemente, tiene sede en el pueblo de Herimoncourt (Franche-Comte), en un castillo donado al ayuntamiento por la familia Peugeot. El centro se estaba distinguiendo a nivel mundial como un lugar único y extraordinario, de producción de video arte y investigación, acogiendo artistas en residencia, proporcionando estudios y asistencia para la post producción. Habíamos estado en un pasado en el festival de Montbeliard, donde después habíamos visitado el castillo todavía en fase de restauración. Ahora estábamos en la mesa de un café, en San Paolo, hablando con Bongiovanni de nuestro VertoViaje, que ya no era más un VertoViaje porque se estaba convirtiendo, poco a poco según hablábamos, en el proyecto de Planetopolis.
A Bongiovanni le gusta la idea, está dispuesto a apoyar la realización del video, lo cual quiere decir – y es muchísimo, para nuestro proyecto –; posibilidad de disfrutar de los estudios de montaje (video y audio) del centro, y la asistencia de montadores por el tiempo que sea necesario. Esta es una de las prerrogativas del centro; el lujo de la calma, el poder trabajar sin apuros y a largo plazo. A nuestro cargo están las filmaciones, con todo lo que conllevan en términos de viaje, búsquedas cinematográficas, bibliográficas y sonoras; y los viajes al centro, para los numerosos turnos de montaje. A cargo del centro; nuestra residencia en el castillo, la disponibilidad de estudios y montadores.
Gianni podrá llevar consigo a su mujer, yo tendré la posibilidad de elegir a alguno que me haga de asistente, y que podrá contar con alojamiento en el centro.
(SEGUNDO CAPITULO DE LA INTRODUZIONE DE "UN VIDEO AL CASTELLO - DIARIO DI INCONTRI E DI LAVORO". LIBRO DE SANDRA LISCHI, SOBRE LA EXPERIENCIA DE "PLANETOPOLIS" Y "PLANETOTI NOTES"

La historia comienza en Moscú, en Junio de 1922.
Había sido enviada a fin de seguir el Simposio Internacional de estudios en torno a la herencia de Dziga Vertov, organizado a la Dom Kino (Casa del Cine) del EDI. Entre los ponentes estaba Gianni Toti, poeta y videoartista, que en Moscú proyecto con éxito sus videopoemas, inspirados en Majakovski y Lili Brik, en Chlebnikov, en las utopías artístico-políticas y los cineastas sovieticos de los años veinte. Conozco a Toti desde hace muchos años, nos encontrábamos en los festivales de cine y video, lo he hecho venir a Pisa, a la universidad, varias veces, he escrito sobre su obra, y entre mis artistas favoritos yo lo tengo por uno de los más importantes dentro del panorama del video a nivel internacional.
Antes de marchar dijimos que no estaría mal llevarnos una tele cámara. Ni yo ni él la habíamos usado jamás: yo porque mi oficio es otro, el porqué para sus trabajos ha tenido siempre a su disposición grandes operadores.
En Moscú, teníamos por tanto una pequeña tele cámara (no digital) que tratamos de usar de manera torpe y empírica, registrando una ciudad distinta a la que ambos habíamos conocido (de manera y en tiempos distintos) en tiempos precedentes. La idea era realizar un pequeño video sobre Vertov, un VertoViaggio lo llamo rápidamente Toti con uno de sus juegos de palabras habituales; un homenaje al cineasta y a su mirada sobre Moscú, pero también un diario de las jornadas del congreso, en el cual participaban, entre otros; Chris Marker (el cual filmara también en este periodo algunas imágenes para Le tombeau de Alexandre), Paul Garrin, Ermeline Le Mezo, Artavadz Pelechian, Fernando Birri…en el avión Gianni relee algunos textos de Vertov, probamos a imaginar un proyecto.
Se entrecruzan, en esa semana de intensas discusiones y largas peregrinaciones urbanas, el revisionismo cultural de “tras el muro”, que tiende a devaluar la parte política de Vertov y a separarla de la artística, y la degradación de una ciudad atravesada por grupos de personas en la miseria; niños y mujeres que piden limosna, o vendedores de improvisados productos.
Toti, comunista no arrepentido, y atravesado por continuas tristezas, interroga y se interroga sin tregua. Durante esos días he anotado; “Me atraviesan las más diversas emociones. Camino por el Arbat, niños me tiran de la manga pidiendo dinero, todos venden algo, todos piden algo. La tele cámara la dejamos balancearse, y quizás registre esta angustia, como un jadeo: las banderas rojas, los bustos de Lenin, los viejos uniformes… la tumba de Majakovski, la de Vertov…
Como buen secuaz del Cineojo, Toti dice que no desea jamás filmar como vemos con el ojo desnudo: así, en el paso subterráneo que lleva a la Plaza Roja empieza a bailar al ritmo de un grupo de músicos de jazz, con la tele cámara en la mano, desvinculada del ojo, que sigue los saltos; del autobús que nos lleva de La casa del veterano del Cine a las afuera de la ciudad, a la Dom Kino. Tuerce la tele cámara para captar de modo no realístico las calles y las casas; en el metro encuadra tan solo los frescos de las cúpulas; se filma en los espejos y en los reflejos de los negocios, estaciones, mercados, probando maravillado el efecto del Zoom; registra las bellas imágenes en blanco y negro que decoran, las imágenes de celebres cineastas soviéticos, la gran estatua de Majakovski, los músicos de la calle… nos pasamos la tele cámara y tomamos una gran cantidad de imágenes y sonidos. También dentro del congreso, y de nuestros compañeros de viaje. Excepto de Marker, que como ya se sabe no desea ser encuadrado y se esconde tras las columnas, o entre la gente, cada vez que ve una tele cámara o una máquina de fotos frente a él.
(PRIMER CAPITULO DE LA INTRODUZIONE DE "UN VIDEO AL CASTELLO - DIARIO DI INCONTRI E DI LAVORO". LIBRO DE SANDRA LISCHI, SOBRE LA EXPERIENCIA DE "PLANETOPOLIS" Y "PLANETOTI NOTES"

¿Cuándo conoci a Gianni Toti? No lo sé, se que siempre le he visto en los festivales de cine, los congresos, y la imagen que se ha formado en mi mente desde finales de los setenta, es la de el acercándose al estrado de los ponentes, o alzándose durante una discusión, para tomar la palabra. Toti en efecto toma la palabra, más bien, toma las palabras. Toma la palabra y como el mismo dice, no la suelta más. No solo; toma la palabra, las palabras y hace lo que quiere. O quizás hace aquello que la palabra misma quisiera que le hicieran; le da vida. Con el abatimiento unánime de los traductores, que han de estar detrás de sus acrobacias. Cuando tenía veinte años, y Toti tomaba la palabra, me acomodaba mejor en la silla y me disponía, con trabajosa alegría, a la labor y el placer de adentrarme en pensamientos distintos a aquellos de los ponentes previos y sucesivos.
Después le he encontrado en festivales y congresos de Video, y es ahí donde le he conocido; afectuoso y severo, curioso y riguroso, abierto e intransigente. Al mismo tiempo confortable y incomodo. Estaba descubriendo sus primeros videopoemas, y al fatigoso gozo de caminar en su bosque de palabras se sumaba ahora el placer-trabajo del sonido y las imágenes, que me llevaban juntas adelante (el futuro de la audio-visión artística) y atrás, a la maravilla de mis primeros verdaderos descubrimientos cinematográficos (Eisenstein, Vertov, las vanguardias históricas internacionales). Y también gracias a su obra decidí desviar mis estudios a la profesión de investigadora universitaria en el videoarte.
Y, a un cierto punto, he tenido el privilegio de vivir con Toti una experiencia realizadora, desde el primer destello de la idea hasta la post-producción y las varias presentaciones públicas de la obra terminada; Planetopolis (1994). En aquella ocasión – se trata en realidad de dos años enteros, del viaje a Moscú en 1992 a la conclusión del trabajo en el CICV de Montbeliard-Belfort a principios del 1994- pude habitar en el universo totiano; en su inmensa cultura (literaria, musical, cinematográfica, figurativa, científica…), la cultura que muchos verdaderos comunistas tuvieron una vez, como autodidactas apasionados e infatigables; en su lucidez a veces despiadada, en su placer de existir, en su dolor abisal por la muerte de Marinka Dallos, compañera de vida.
En sus extraordinarios recuerdos; de la resistencia, del Che Guevara, Fidel Castro, Salvador Allende, de una tribu de indios con quienes había convivido meses y meses, de viaje por todo el mundo. Y he podido vivir un poco en su modo de trabajo: que piensa cada imagen, cada sonido, cada frase, en su alcance poético (metafórico, alegórico, evocativo) pero que también sabe abandonarse al descubrimiento imprevisto, a la maravilla de efectos consentidos de la tecnología electrónica (y indagar en su valor herético y excéntrico respecto a la ingeniería de las maquinas) que se convierten en figuras de escritura, nuevos procedimientos audio-visivos para activar el pensamiento, enigmas, cortocircuitos, atentados que dinamitan el sentido común y la retorica banal.
Toti ha sido para mí un maestro en un periodo adulto de mi vida, y no solo en un terreno operativo, de realización, en el sector que me apasiona, en el campo en el que trabajo. Toti me ha enseñado a no conformarme ante el primer sentido de las cosas, a ver el revés. Me ha adiestrado en el ejercicio de la crítica y la duda: a demoler mentalmente, para ver lo que se salva, también de las cosas y personas que más amamos. A poner a prueba mentalmente mi idea de un libro, de una experiencia. Manteniendo la capacidad de entusiasmo y pasión: el desapego y el cinismo, el academicismo y la erudición estéril están totalmente alejados de él.
Ha agravado mi impaciencia por el estilo pomposo y árido de tantos estudiosos, mi incomodidad ante la escritura estereotipada de tantos académicos, y me ha llevado a interrogarme sobre mi propio rol: de profesora universitaria, de crítica y estudiosa, de habitante del planeta. La experiencia de Planetopolis ha cambiado, en cierto sentido, mi vida: he hecho más espacio a una dimensión artística, en las personas que frecuento y en la manera de enfrentarme a la llamada “cultura” (Palabra que Toti no ama, por las connotaciones vanidosas, “de salón” y a menudo mercantiles que ha asumido); he tratado de tener mayor coraje en las elecciones profesionales, de ser menos acomodada – incluso conmigo mismo- de no conformarme en la pereza y el confort fácil de la rutina. Le debo a él, el haberme adentrado en el territorio para mi difícil de una realización en video (PlaneToti-Notes, 1997), que cuenta mi experiencia en el CICV durante la post-producción de Planetopolis.
Sé que no es suficiente todavía, que puedo hacerlo mejor… Esta es una frase que Toti repite voluntariamente, incluso a sí mismo: “Apostar por lo difícil y no darse tregua”. No detenerse en definitiva ante el pensamiento más sencillo, o en el camino más directo para alcanzar un objetivo, sino apostar por el razonamiento complejo, el camino inaccesible; y al mismo tiempo no darse tregua a uno mismo, en el estudio, el trabajo, la comprensión, el amor (por las ideas, por las personas) y la lucha (por un planeta unido y digno del término humanidad, contra todos los fascismos y racismos, y contra el totalitarismo de mercado).
Gianni es un agradable “tocahuevos”…. Se reirá de la manera de vestir, de la manera de hablar, de los tics verbales que nos afligen a todos (como la obsesiva repetición de la sigla OK), de las modas de cualquier tipo, de una ignorancia que se expande y resulta absolutamente indisculpable (Como se puede ignorar Dostoievski? Como se puede no haber leído a Flaubert? Joyce? O a Juan de la Cruz?), imposible excusarla cuando se empareja a la arrogancia de los “operadores culturales” o de supuestos artistas prácticamente analfabetos. Toca las narices también cuando viaja en tren; si alguno lee, trata de ver la cubierta del libro, y lo comenta: pide el nombre a la persona y lo comenta, o propone a la persona cambiárselo (Sabrina? Que nombre más cinematográfico, que nombre a la moda: mejor cambiarlo por Brina, un nombre como Brina no lo tiene nadie, es un nombre único…).
Admiro en Toti (y he tratado de aprenderlo, pero no siempre lo consigo) este ofrecimiento suyo, por todo el mundo, con cualquiera, como un hermano. De Moscú a Rio, de La Habana a Nueva York, de Tokio a Paris. Para después quizás llegar a discutir, pelear incluso. Pero siempre con este comportamiento de curiosidad y disponibilidad, con este apetito de conocimiento y de compartir.
Y en todo el mundo, Toti se enfada siempre más. Tiene la impresión de conocer y compartir siempre menos. Le parece que el espacio se estrecha, las ideas se empobrecen, las esperanzas se nublan. Que se expande la aproximación, la dejadez, la falsa conciencia, incluso en las pequeñas cosas.
De todo lo demás y también de esto, hablan sus obras, en sus últimos años. Siempre con mayor lucidez, sequedad y pesimismo (o poesimismo como él dice). Siguiendo en busca de las pequeñas luces que se encienden aquí y allá.
Creo que a Toti se le agradecerá también este mal humor suyo, por todos los”turbulentos-videos“que nos ha hecho atravesar, por todas las veces que habremos discutido incluso agriamente. Por sus irritaciones, sus disgustos, sus insatisfacciones, por sentirse incomodo, sus malestares, “fuera de lugar” en este mundo que sería bellísimo si…
Sandra Lischi (Docente en la Universidad de Pisa, Codirectora de "Invideo-mostra internazionale di video d'arte e cinema oltre", directora del documental “PlaneToTi Notes” sobre el proceso de realización de Planetopolis) (Texto publicado en francés en la revista “Turbulences Video” n.34, Gennaio 2002, en el ámbito de un homenaje a Gianni Toti).
