jueves, 28 de enero de 2010

L'essenza della tecnica non è tecnica - Gianni Toti

Stimolato al dibattito dall'articolo (volantino-proclama-documento politico) di Alberto Abbruzzese (« Non è più tempo di teorie ») pubblicato sul numero 39 di Rassegna Sindacale,del marzo 1981 interviene Gianni Toti. Un articolo che merita di essere riletto...

Che singolare teoria, questa secondo la quale «non è più tempo di teorie». Ma il filosofo con il vizio dell'effìmero» lo sostiene come se la teoria fosse... che cos'è la teoria? Ma non era forse il livello più alto della prassìa? E viceversa? Steorizziamo, dunque? Ohne theorie keìne revolution, si diceva poco fa, « or non è guari »... Eccomi dunque «stimolato al dibattito», come al solito e come si augura — sul n. 8 di Rassegna Sindacale — il commentatore del « volantino-proclama-documento politico » del « maestro del pensiero » di moda, altrimenti detto Architéoro, dalla Teoria-sacrificio offerta al Theos della Theorìa, ciò fu al Dio dello Sguardo... Se mai un tempo ci fu per « guardare » e « vedere » bene, è proprio questo, troppo nebbioso ideologicamente.

Ma è proprio adesso che si scatena l’antiteoria più teorizzata, l'antintellettualismo più intellettualistico, l'antipoetismo, Tantiartisticismo, ecc. « Dagli all'autore! » è il grido d'ordine che, per esempio, si sente risuonare più spesso, anche in aree sinistriere. E ci avrebbe dovuto pre-occupare, non post-occupare come fa qualche regista cinematografico in allarme tardivo perché « si prospetta con crescente chiarezza la tendenza progressiva alla svalutazione del peso e della figura stessa dell'autore, in un processo di vera e propria spersonalizzazione, quasi una perdita d'identità » (lettera di Damiano Damiani ai soci dell'Anac, l'Associazione nazionale degli autori cinematografici che non è mai riuscita finora a scegliere una posizione « qualitativa » unitaria nei confronti delle responsabilità culturali dei suoi aderenti). Siamo arrivati al «paradosso incredibile di una catena di montaggio che produce poesia» (su L'Unità, il critico comunista David Grieco, ma sic!, a proposito di De Niro e dei « tremendi ingranaggi industriali» che produrrebbero arte...).

E i filosofi abruzzesi celebrano i riti del giovedì Problemi dell'informazione l'esaltazione « serialistica » su Rinascita e altrovunque, evviveggiando al « telefilm-saga », (e al « metagenere », al « megatesto » ecc), e auspicando « l'allestimento di un dispositivo linguistico-narrativo-espressivo analogo » a quello di « Dallas », « prodotto in Italia ». « Lavorando e studiando seriamente »... sogna l’Albertone nazional nostro sociologo di massa, dimenticando di inserire una elle nel suo « seriamente ». Ahiluinoi! serialmente studiando e lavorando, è arrivato alla conclusione, davvero « peregrina », che « è necessario inventare dispositivi atti a compensare l'assenza» eventuale di « telefilm » italiani « e a fronteggiare così la forza della diffusione americana »... E' con queste sognerìe da periferia imperiale che rispondiamo « all'attacco frontale di un'informazione tecnologicamente evoluta »? E se « parliamo e scriviamo», questi nostri «parlare e scrivere » sono solo « forme di produzione in via di obsolescenza, oltre che direzioni politiche e culturali frantumate»?

L'abbagliamento dovuto al buio splendore delle networks o delle majors americane oppure HollyWoody Alien, è solo uno « sbagliore » socioillogico? O è dovuto a una miopia da obnubilamento supertecnotronico? La logìa della tecnica americana non è da demonizzare né da divinizzare: fra un mixer Vital a disposizione della Rai e un Grass Valley 300 ancora non arrivato da noi, la differenza è solo di quantità: ambedue le tecnotronìe sono sottoutilizzate e ridotte all'uso delle peculiarità informative, ovvero al disuso delle specifiche proprietà sinestesiche e tecnìtiche (varrebbero a dire, sì: artistiche). Ma di fronte all'adorazione subalterna dei « serials di strepitoso successo » a poco valgono i richiami alla presa di coscienza tecnica di questi « mezzi di massa », o di questa « massa di mezzi» che sono soltanto «mezzi », appunto, di un'epoca industriale in cui la pasta della màza (focaccia o pan d'orzo da impastare) sembra agglutinare, inghiomare classi, ceti, strati, pubblici, e i non dividui che dovremmo essere (non soltanto «non divisibili» ma neppure addizionagli; moltiplicabili sommai).

Il « protagonismo dal basso », il « policentrismo»: puri sogni sociologici se la riduzione politicistica all'appiattimento culturale prevalesse. Certo, bisogna reagire alla totalizzazione tendenziale della grande macchina telematica, e (qui Alberto ha ragione vendere, ma soltanto razioide, e nessuno la compra) il movimento sindacale non è riuscito, finora, neppure ad articolare una «politica del tempo (non) libero» da liberare davvero. Ma non si combatte la « grande subcultura industriale» con la «piccola subcultura industriata» che si vorrebbe « grande » come quella industriante e omogeneizzante, mentre sul piano tecnico dispone già di altrettali dispositivi meccanici: le manca solo quel «supplemento d'anima » che urge anche nella nostra Cacania...

Il nodo da recidere (o parvulo Alessandralo abruzzese!) non è quello dello «sviluppo elettronico» già arrivato o in arrivo anche da noi. Per essere «politicamente competitivi sul mercato dell'informazione» bisogna combattere « l'informazione del mercato » e la «competitivita» stessa, non considerare « informazione » solo quella «mercata», non teo-logizzare quel « mercato », non inginocchiarsi davanti a nessun « major », battersi per superare «la qualità senza uomo», «il mondo senza qualità»; e non venerare da pigmei ipotecnoidi quell’«aumento di potenza che sbocca in un progressivo aumento di impotenza » di cui i pensatori della crisi parlavano con ohiaroveggenza quando ammonivano (Nestroy-Wittgenstein per esempio) che « in genere, il progresso ha la proprietà di apparire maggiore di quello che è veramente ». Effettivamente, la «politicizzazione o la sindacalizzazione dello spirito » costituiscono una pericolosa confusione di ruoli (si pensi agli enti locali «produttori di cultura » in proprio o quasi). Meglio non cedere alle facili abbreviazioni.

Naturalmente, sarebbe più che augurabile un congruo investimento di energie e mezzi da parte dei «partiti e dei sindacali della sinistra » come auspica il mio buon nemicamico Alberto Abruzzese. Ma bisogna avere ben chiaro che neppure « un progotto di dimensione nazionale e di portata tecnologica adeguata», con «l'edificazione di luoghi di produzione e di consumo legati a risorse economiche politicamente mature » ecc. potrebbero bastare al contrasto del superpotere tecnotronico. Soprattutto se lo spirito della competitivita è quello dell'angelo con le ali tristi perché non sono state cosmotorizzate. La vera competizione è un'altra: non riguarda i mezzi ma i fini. La mass-mediaevalizzazione che ci minaccia anche in casa nostra nel «futuro immediato » si occulta nel linguaggio apparentemente spregiudicato di un « pragmatismo senza teoria » (è poi la teoria del pragmatismo puro e semplice) che non dovrebbe essere il nostro. Perché l'essenza della tecnica, caro Abruzzese e cari «rassegnatori sindacali», non è tecnica...


(Rassegna sindacale, n.39 marzo 1981)

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