Di Silvia Moretti
Nel descrivere un video la penna del critico confessa non di rado di annegare nel suo inchiostro. Spesso la scrittura fatica a restituire la complessità degli effetti elettronici, le piroette di sguardi che da essi germogliano, gli eccessi di immagine e di immaginazione che si stratificano l’uno sull’altro. «Nessun video è descrivibile, tanto meno a parole» ha affermato Marco Maria Gazzano anni fa - «e tanto meno quelli, irriducibili, di Toti»1.
La singolarità delle videopere di Gianni Toti, irriducibili sulla carta, consiste però nel fatto che esse possono essere aperte attraverso chiavi di carta. Toti è stato infatti scrittore di tutte le scritture sempre alla ricerca di nuove vie per liberarsi dalle trappole del linguaggio. Il suo approdo alla poetronica, alla poesia espressa con le unità espressive elettroniche, sul finire degli anni ‘70, non si è risolto in una lacerazione della carta. Insieme agli appunti che freneticamente annotava per stare al passo con la sua fantasia (carte che, conservate nell’archivio della Casa Totiana a Roma, si prestano ora ad essere studiate), è la sua produzione a stampa, le decine di volumi di poesie degli anni Sessanta, i due romanzi del decennio successivo, i mille e più articoli sparsi su rivista a funzionare rispetto ai suoi video da veri avantesti.
Tra le numerose videopere totiane, quelle realizzate negli anni ‘80 presso il Settore Ricerca e Sperimentazione Programmi della Rai sono per eccellenza figlie della pagina scritta. La Trilogia Majakovskiana, seconda opera in video realizzata nel 1983, rappresenta una caso singolare. La sua storia ha inizio e fine sulla carta. Non comincia, se non apparentemente, con VALERIAscopia o dell’amMAGLIattrice, la videodanza in tutù e chromakey che ne costituisce il primo atto. E non si conclude con l’ultimo, Cuor di tèlema, il libero riadattamento cinematografico di un soggetto di Vladim Majakovskij. Questi due movimenti incorniciano l’esperimento che è valso a fondare l’identità dell’intera trilogia: Incatenata alla pellicola.
In essa Toti rivisita letteralmente 2 minuti e 40 secondi dell’omonimo film Sakavannaia filmoi (Turkin, 1918) sceneggiato e interpretato da Majakovskij insieme alla compagna Lili Brik. È lei a consegnare nelle mani del futuro poetronico quei pochi frammenti, scampati ad un incendio, che raccolgono i momenti culminanti della storia di un amore tra realtà e finzione: l’uscita della ballerina dal manifesto cinematografico che la ritrae, i suoi primi passi nella stanza del pittore che di lei è innamorato, la sua nostalgia dello schermo. Lili-ballerina esce, Toti invece entra nella pellicola. Per escatenarla – precisa il sottotitolo del video – attraverso i linguaggi fluidi del nastro magnetico.
Il poetronico esplora i fotogrammi angolo per angolo. Produce nuove immagini da una stessa immagine, duplicandola con effetti speculari e caledoiscopici o isolandone dettagli. Con il rallenty, il suo sguardo traduce il tempo in spazio e lo spazio nella filigrana luminosa e pulsante dei pixel.
La voce recitante di Toti s’intreccia alle immagini in un concerto polifonico. «Il sogno di carta sul nastro del sognificato si fa carne» pronuncia ad un certo punto, e prosegue: «Lili è di carta e sangue, è pellicola, è nastro, è fatta della materia seconda dei nostri sogni esauriti».
Prima che sul nastro, per oltre un decennio Gianni Toti continua a far vivere Incatenata alla pellicola sulla carta. La prima riscrittura è custodita nel n.15 (gennaio-marzo 1971, p. 111) della rivista Carte segrete di cui il poeta era codirettore insieme a Domenico Javarone:
«Sakovannaia filmoi: imprigionata, o “incatenata dal film”, dal cinema per estensione: è il secondo film di Vladimir Majakovskij, quello di cui restano gli scarti di montaggio. Lisstcka [Lili Brik] lo ha raccontato a Gianni Toti, Litciko ha fatto forza a se stessa, ha ricordato il ricordo del ricordo… Volodia era il pittore, estraeva dallo schermo, un lenzuolone bianco veleggiante nella stanza senza pareti, la donna cinematografica, l’immagine amata dentro la pellicola, il simulacro di nulla» (fig. 1).
In questo articolo, intitolato Le demoiselle et le voyou – Incatenata alla pellicola, Toti rievoca la sera del febbraio 1970 quando Lili lo condusse in un piccolo cinema di Mosca per vedere un film di Majakovskij Le demoiselle et le voyou. Porgendogli i pochi fotogrammi superstiti, l’amica gli raccontò la storia del secondo film, Incatenata alla pellicola: «chi ha visto, chi vedrà questi “resti” che non sono “silenziosi”?» si interroga Toti. In Francia la sorella della Brik, Elsa Kagan Triolet Aragon, aveva da poco organizzato una mostra dedicata a Majakovkij. Toti le scrive il 10 marzo 1970 affinché i materiali possano essere conosciuti anche in Italia. Il progetto sfuma. Lo ripone sulla carta perché non cada nell’oblio:
«… noi ci riproviamo qui […], raccontando e pubblicando foto e manifesti e ritagli di montaggio. Nella speranza che i lettori – o qualche superlettore ricco con loro – trovino altre risorse organizzative ed economiche per portare i film di Majakovskij a “pubblici” nuovi.»
Manifesti, fotografie, lettere di Lili: gran parte del materiale iconografico dell’articolo verrà prelevato da Toti per la parte introduttiva del suo Cuor di tèlema. Nel 1978 il piano di riscrittura aveva assunto ambizioni audiovisive da tre anni:
«Sono passati anni da quando il Consiglio di Amministrazione della RAI-TV, alla vigilia della “riforma”, approvò il progetto che Gianni Toti aveva presentato a “gli sperimentali” (…) per un film (televisivo) sui film brik-majakovskijani. Era stato persino approntato un preventivo per la ripresa di una lunga intervista televisiva con Lili Brik, precauzione diciamo e amorosamente cinica: sarebbe scomparsa un giorno, il più tardi possibile, l’immortale mortale donna del poeta!» (fig. 2).
Nell’articolo Addio agli addii per Lili Brik del numero 41 di Carte Segrete (gen-marzo 1978), Toti non può che piangere, attraverso la poesia, la morte dell’attrice percependo «l’impossibilità ormai totale di restituirle quella vita dell’immagine»:
Dovevamo noi toti filmarti ancora – ah il progèttile!
irrilanciato “scatenata dal film” reincatenata invece
da “lontano visione” al RAIlenti che svive nel suo sempre
palinsestuale raschiando gli occhi della specie.
Data l’inerzia della Rai, l’unico spazio garantito per farla rivivere sembra rimanere la pagina letteraria. Su quella del Padrone assoluto, romanzo sperimentale del 1977 ai limiti dell’afasia, vita e morte diventano i poli di una dialettica che nel capitolo 36 è sviscerata proprio attraverso la donna incatenata al cinigma e il suo pittore: «lui ha filmato il racconto di un film […] e qui lo si legge perché il film non era nonflam e brusiò in qualche archivio di polvere, e solo in queste parole scritte si rifilma su uno schermo così interno che si schermimisce» (Il padrone assoluto, Feltrineli, Milano 1977, p.57). Il finale del brano, che suggerisce alcune delle immagini verbali su cui maturerà la voce recitante nel video, non è più quello dell’originale Incatenata alla pellicola:
«La giravolta della gonna cuore, il balzo del pittor cinetico: e tutte due dentro lo schermo-pagina-quadro-scultura. L’ha seguita: lei era uscita per trascinarlo nel suo mondo o lui ne l’aveva fatta uscire per inseguirvela poi, rotta l’incantazio, finita l’eternità?»
Nella riscrittura di Toti si nascondono in realtà le riscritture fattuali e intenzionali di Majakovskij (figg. 3-4).
Dopo dieci anni dalla Trilogia, esce un libricino curato dall’autore, La leggenda di Cinelandia (Fahrenheit, Roma 1994): è l’esito di un percorso nato e ritrovato sulla carta dove i 2’40’’ si risolvono negli spazi visivi immobili dei fotogrammi stampati. Quelle pagine raccolgono lo scenario di Incatenata alla pellicola così come ricordato dalla Brik. E ripercorrono la sua variante mai realizzata: Cinelandia è la terra del cinema alla ricerca della quale il pittore, rimasto solo, decideva di partire. Majakovskij avrebbe voluto scrivere un secondo film descrivendo la vita dell’artista sopraggiunto nel mondo al di là dello schermo. Nel 1926, invece, ritorna sul primo progetto e firma Cuor di cinema modificandone il finale. Il pittore accendeva la pipa. Gettato in aria, il fiammifero ricadeva sulla coda della pellicola a cui la donna era stata di nuovo incatenata. E la bruciava. Realtà e finzione, pittore e ballerina, erano destinati a non incontrarsi più. Sotto lo stesso segno di un fuoco che sarebbe stato di lì a poco reale.
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1. M. Gazzano, Gianni Toti. Il tempo del senso, in id., Il cinema dalla fotografia al computer, Quattroventi, Urbino, 1999.
Publicado en la Revista Predella, no. 26 (2009)
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