jueves, 30 de septiembre de 2010
Vecla
Finalmente, le mie vecchie parole possono lasciarsi crescere i capelli bianchi. Parole, dico, per dire frasi, periodare, articolare e congiungere, ritmare e concludere lasciando il discorso vagolare più in là. Adesso la mia scrittura, già anziana, si lascia andare alla ripetizione, al ricordo di sé, alla nostalgia delle prime scoperte, di quella vaga musicalità che è del ritmico battere delle dita e dei tasti, per un discorso che ha i suoi tempi, le sue pause, persino i suoi vuoti stracolmi di virtualità inespresse ma esprimibili proprio nella loro inesprimibilità. Così mi lascio anch'io disaccentare, tralasciar il ritmo dei miei piedi, non solo quelli letterari: quelli delle mie gambe artritiche e malferme.
Non mi dirò più nulla che ion non sappia, non conoscerò ma ri-conoscerò quel "tempo" inimitato perché troppo imitabile, dissi un giorno sottoponendomi a spietata critica.
Adesso che so, è tempo di morire. Così scrisse.
Sì. Così lasciò scritto il mio buon amico Fraenkel, in preda a profonda stanchezza scrittoria. Prima di scrivere il suo capolavoro: Nobel ese oblige che, appunto, mai scrisse ma resta il suo capolavoro: "Un romanzo coi capelli bianchi" - non è un bel sottotitolo? Non potrei mettermi a scriverlo io, per amore del mio amico Fraenkel, con le sue parole falsamente invecchiantesi.
Quel buon vecchio vino verbale!
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